A passeggio per la città di Alba

A passeggio per la città di Alba

Itinerari urbani

A passeggio per la città di Alba
Alba nella storia, un ruolo visibile ancora oggi. La città pur nelle raccolte dimensioni del centro che ricalcano ancora perfettamente il castrum romano (Via Vittorio Emanuele II come cardo e Via Cavour come decumano) riserva molte, piacevoli sorprese a partire proprio dalle memorie di Alba Pompeia, il nome che i conquistatori latini diedero al villaggio ligure che si apprestavano a colonizzare.

Alba A Passeggiar Per La Città1
Alba A Passeggiar Per La Città2

Quasi tutti i percorsi archeologici sono però inevitabilmente sotterranei, insistendo tutti gli attuali edifici su una planimetria vecchia di 2000 anni, il che li rende forse ancora più suggestivi, passando tra interrati e cantine: dalla Cattedrale agli uffici dell’Ente Turismo, dalla Chiesa di San Giuseppe alla sede storica della Cassa di Risparmio. Un archeologo vi porterà per mano, facendovi immergere nella città romana.

C’è poi, ben più visibile, l’Alba medioevale che svetta nelle poche torri ancora lanciate nel cielo come in quelle molto più numerose oggi confinate ai tetti delle case. A chi sa guardare, facciate e angoli dei palazzi conservano ancora i simboli dell’antico potere. 

Tornati ai giorni nostri, eccoci pronti per il nostro itinerario, che parte dal cuore amministrativo e religioso di Alba, la Piazza Risorgimento, per tutti Piazza Duomo, dove si affacciano la Cattedrale di San Lorenzo e il Palazzo del Comune e svettano le torri medioevali più alte.

La Cattedrale di San Lorenzo è il risultato di numerosi rifacimenti (almeno quattro chiese sorsero su questa piazza, e vari templi romani ben prima) di cui quello decisivo fu eseguito a fine Ottocento da Arborino Mella, seguendo stilemi e dettami del neogotico.

In ordine di tempo, la prima chiesa sorse nel VI secolo e, oltre a vari ruderi, ci ha lasciato un importantissimo fonte battesimale con vasca a immersione. La seconda chiesa sorse attorno all’Anno Mille e, stranamente, nacque già a tre navate per includere proprio il fonte paleocristiano. Anche il primo campanile risale al X-XI secolo, mentre l’attuale, costruito attorno al precedente usato come pilone centrale per sostenere la scala di accesso, è datato attorno al XII secolo, come del resto i bei portali in arenaria. È ipotizzabile, quindi, un primo ampliamento attorno al XII-XIII secolo che riguarda appunto facciata e campanile, su cui a volte è possibile salire per ammirare la città da 40 metri di altezza. 

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Alba, di bianco e di rosso

Alba, di bianco e di rosso

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La terza chiesa fu eretta da terra (smontando i portali e tenendo il campanile) a fine Medioevo su iniziativa del grande rinnovatore cittadino, il vescovo Novelli. È una struttura di stile ormai tardo-gotico a tre navate, a croce latina, col portico e un’elegante finestra in facciata in luogo dell’attuale rosone. Nel corso dei secoli il Duomo è stato più volte rimaneggiato. Mai, però, come fece l’architetto Mella a metà Ottocento, che riplasmò la chiesa nella sua quarta forma, quella neogotica. L’architetto rifece la facciata con l’enorme rosone, i quattro pinnacoli, le nicchie con le statue (a simboleggiare gli evangelisti e il nome A.L.B.A.), aggiungendo le sei cappelle laterali e l’abside poligonale, e, forse, slanciando le sei colonne legate con volte ogivali.

Anche l’apparato pittorico, composto per lo più da grandi tele di pittori locali tra Settecento e Ottocento non porta firme eccellenti, ma il Duomo conserva lo stesso molte sorprese. Innanzitutto il coro ligneo realizzato nel 1512 dall’ebanista cremonese Bernardino Fossati da Codogno; poi, sempre nella zona absidale, la statua intagliata nel legno della Madonna Assunta, attribuita al monregalese Antonio Roasio. Da apprezzare anche la Cappella di San Teobaldo, ricca di tele settecentesche che conserva anche l’arca in marmo del Santo; proprio all’ingresso il notevole fonte in marmo del 1503 e il grande organo da tribuna.

Infine, da non perdere il Museo Diocesano nella Cripta di San Pietro (si accede da Piazza Rossetti o da una porta a sinistra del presbiterio), con un interessante lapidario che spazia dai reperti romani a quelli tardo medioevali. Dalla cripta si entra poi negli affascinanti sotterranei del Duomo, dove si legge la stratigrafia del sito e si vede la vasca battesimale del VI secolo. Un’ultima cosa bella: l’intera visita è accessibile a tutti.

Tornati in superficie, eccoci di nuovo sulla piazza, sui cui dal Trecento si affaccia il Municipio, mentre i palazzi porticati dirimpetto ricordano più il Barocco, lo stile umbertino e il liberty (seppur su solida struttura medioevale). Ed è proprio questo il lato mondano con i suoi portici così piemontesi, i caffè, i negozi, i dehors e i ristoranti.

Nel Palazzo Comunale, il bel salone consiliare ospita alcuni capolavori, tra cui un Macrino. Accanto al Municipio, ci sono gli uffici dell’Ente Turismo Langhe Monferrato e Roero e, subito oltre, il Centro Studi “Beppe Fenoglio” proprio all’interno della casa dello scrittore, con documentazione puntuale su tutta la storia albese; all’ultimo piano è visibile anche la straordinaria “Anticamera della morte” di Pinòt Gallizio.

È albese, infatti, uno dei più grandi scrittori del Novecento, Beppe Fenoglio, che solo di Alba e di Langa ha scritto, raccontando con lo stesso stile d’avanguardia le misere vite di malora dei contadini come l’eroismo disincantato dei partigiani. Fenoglio è stato il bardo delle Langhe e - partigiano egli stesso - il cantore più autentico e crudo delle tragedie della guerra civile. Ed è albese anche uno dei maggiori pittori dell’ultima delle avanguardie del XX secolo, il Situazionismo. Quasi per scherzo, o forse per gioco, quest’idea stregava un farmacista eclettico e molto originale: Giuseppe - Pinòt - Gallizio, padre della Pittura Industriale e, con Asger Jorn e Piero Simondo, immaginifico creatore di visioni artistiche rivoluzionarie. Da non perdere, quindi, una visita al Centro Studi, per immergersi anima e corpo nell’essenza delle colline.

Le torri medioevali della città (come del resto ad Asti) erano molte di più e oggi ancora ne ritroviamo molte abbassate o incorporate negli edifici. Le tre che spiccano nel cielo della piazza ci danno però l’idea della ricchezza delle famiglie albesi che contesero mercati e influenza ai più potenti mercanti astensi. Purtroppo per noi, oggi sono tutte private e possiamo ammirarle solo da fuori. 

Architettonicamente la più interessante è la Sineo (proprio in faccia alla Cattedrale), alta 35 metri e decorata con eleganti trifore nella parte terminale. La Bonino (quella di poco più bassa all’angolo con la Via Maestra) presenta invece un curioso marcapiano in pietra a circa mezza altezza e semplici aperture a tutto sesto in cima. Infine, ecco i 30 metri dell’Astesiano, anch’essa con semplici finestre ad arco e una vistosa doppia losanga decorativa alla sommità. La torre insiste già su Via Cavour e sorge tra il bel Palazzo Paruzza (sede della Banca d’Alba, con una torre loggiata), l’opposta torre (d’angolo e ribassata) detta “della Farmacia” e la Loggia dei Mercanti di Casa Sacco, uno dei migliori esempi di palazzo quattrocentesco in città.

Via Cavour conserva nella parte iniziale tutto il tessuto medioevale di Alba, che si estende poi ancora nella vicina Piazza Pertinace. La piazza di oggi è il frutto delle demolizioni ottocentesche, quando furono abbattute molte case che “soffocavano” la Chiesa di San Giovanni. Via Macrino partiva un tempo da Via Cavour, mentre oggi la si ritrova solo dall’altro lato della piazza: si spiegano così le facciate monche, i portici e la porta “nel vuoto” della quattrocentesca Casa Riva.

La Chiesa di San Giovanni, pur essendo la più antica dopo il Duomo, ha subito numerosi interventi, compreso il rovesciamento della facciata: dei superstiti affreschi absidali possiamo trovare tracce semi-nascoste dalla tribuna dell’organo all’ingresso sulla destra. Oggi si presenta con la classica facciata barocca piemontese. Dal Cinquecento fu chiesa e convento agostiniano e ha ereditato parte delle opere della scomparsa e vicina Chiesa di San Francesco, che sorgeva al fondo dell’omonima piazza alla fine di Via Cavour. All’interno, San Giovanni custodisce alcuni tesori d’arte che meritano una sosta, tra cui un Macrino e un ciclo di Gandolfino da Roreto (o d’Asti) ed esempi di arte lignea di grande valore. 

Altrettanto piacevole è la Casa-forte Marro che, pur ingentilita da un loggiato all’ultimo piano, conserva l’arcigno aspetto di fortilizio cittadino: alla base si ritrovano le fondazioni di un tempio, che in epoca romana si affacciava sulla “piazza del foro” (sempre la Piazza del Duomo), ben valorizzate da un percorso sospeso in scale e vetro (il cartello informativo in loco permette di farsi un’idea più completa della mappa di Alba Pompeia).

Al centro della piazza anche il busto in bronzo dell’imperatore Publio Elvio Pertinace ci ricorda la gloria romana di Alba; interessante notare sul basamento la mappa con le province romane dove servì il generale albese.

Via Cavour sbocca alla “Pontina” (Piazza Garibaldi) dove il romantico ingresso alla città, con lo storico ponte di Carlo Alberto, è andato perduto. Resta piacevole la vista dai bastioni superstiti a nord, nella grande “piazza del bestiame) (piazze Marconi e Prunotto) con l’ala coperta del foro boario così frequente in Piemonte. Oltre, ci si può perdere volentieri nel dedalo di viuzze attorno a Via Manzoni (che ci riporta al Duomo), passando davanti alla barocca Chiesa di San Giuseppe (si sale anche sul campanile mentre nei sotterranei si possono vedere i resti del teatro romano). Interessante, soprattutto, la facciata di Casa Cantalupo-Paglieri, con bifore quattrocentesche in cotto, al n. 5 di Via Bosio, che collega Piazza Marconi a Via Manzoni.

Se invece decidiamo di attraversare Via Manzoni e imboccare Via Balbo, entriamo nel rione dei preti (compreso tra Via Balbo, Via Giraudi e Via Como), dove, oltre alle mura di cinta, il grosso dello spazio urbano è occupato ancora appunto da proprietà religiose.

Oltre Via Balbo, incrociamo Via Acqui, che parte dall’antica Porta Cherasca (oggi Piazza Monsignor Grassi) dove un antico muretto ricorda ancora la porta romana, e incombe invece la mole severa del vescovado (Alba è, con Asti, Vercelli e Acqui Terme, una delle più antiche diocesi del Piemonte). Via Acqui sbuca nella storica “piazza delle Erbe” (oggi piazze Rossetti e Miroglio) cioè lo spazio retrostante al Duomo.

L’imponente medioevale Palazzo Caratti-Govone, oggi ben recuperato, che occupa quasi un isolato al fondo della piazza, ci riporta nel salotto storico della città. Di fronte ecco, infatti, la mole littoria del Civico Collegio Convitto (eretto negli anni Trenta per dare alloggio agli studenti della Scuola Enologica, rinomato istituto inaugurato nel 1881 tra i primi in Italia) che, seguendo la Via Generale Govone, si raccorda alla Chiesa di Santa Caterina, oggi concessa come tempio ortodosso.

Siamo così giunti nella piazza del teatro (o “dei piatti”: Piazza Vittorio Veneto), teatro che resta l’opera più felice dell’architetto Busca. Completamente restaurato a fine anni Novanta, il Teatro “Busca” è stato raddoppiato con un’originale soluzione scenica che vede oggi il palco posto al centro tra le due sale, e, spesso, viene utilizzato in questa inedita veste.

Dalla piazza si apre poi Via Calissano, con il liceo classico “Govone” e la Chiesa di San Domenico, che un tempo costituivano un unicum, con Santa Caterina e gli altri edifici dell’area, tutti di proprietà del potente ordine domenicano. Il liceo è molto di più di una normale scuola classica di provincia: è, infatti, quello dove ha studiato Beppe Fenoglio e dove hanno insegnato Pietro Chiodi, Leonardo Cocito e Giuseppe Petronio. 

San Domenico è l’unico monumento nazionale della città, splendido esempio di Gotico lombardo innestato su una struttura dalle proporzioni romaniche, di cui abbiamo la data di fondazione (il 22 novembre del 1292) e pure quella di fine lavori (la fabrica chiuse nel 1474). 

La chiesa, realizzata a forma basilicale a tre navate, è alta circa 17 metri e lunga 50: presenta un’ampia abside semi-decagonale. Lo slancio della ghimberga (il bellissimo frontone che decora l’ingresso con il curioso arco trilobato a sesto acuto e la lunetta) si ritrova nelle finestre, negli archi e nei pinnacoli della facciata e si amplifica all’interno dove 10 colonne, decorate col caratteristico motivo a scacchiera e lacerti di affreschi di santi ormai quasi illeggibili, si alzano possenti e solitarie lasciando un notevole, altissimo “senso di vuoto”. Vuoto poi chiuso da volte a crociera innervate, decorate con affreschi del XV secolo (molti giacciono ancora sotto pesanti intonaci barocchi). Le due vele restaurate presentano importanti pitture già di gusto lombardo, per probabile committenza della Beata Margherita di Savoia. Nella parte absidale, soprattutto nella cappella sul lato sinistro, troviamo gli affreschi meglio conservati, da attribuire in parte alla Scuola Monregalese. 

La chiesa, come oggi appare ai visitatori, è assai diversa dal progetto originale: della suddivisione tra capella maior, destinata alla liturgia conventuale, e chiesa esterna, dove era celebrata la Messa per i fedeli, non rimane traccia se non quella di un’opera in muratura che potrebbe corrispondere al pontile che separava le due sezioni (come ancora esistente a Vezzolano, vedi it. Romanico Astigiano da Castelnuovo Don Bosco). Importanti revisioni ebbero luogo tra il 1600 e 1700, quando San Domenico abbandonò la dimensione monastica per diventare una chiesa parrocchiale. In questa fase, molti affreschi andarono persi a causa del rimaneggiamento architettonico a cui l’edificio fu sottoposto. In epoca napoleonica, con la soppressione degli ordini religiosi, il convento e la chiesa furono considerati semplici edifici pubblici, diventando ricovero per truppe e cavalli. Con la Restaurazione, la chiesa fu riaperta, ma subì ulteriori interventi. Il restauro iniziò solamente nei primi anni Ottanta del XX secolo (ed è tuttora in corso), grazie all’impegno totale della Famija Albeisa, storica istituzione cittadina. Fu pagato inizialmente solo con larghissime contribuzioni di tutti gli albesi.

Sullo slargo antistante la chiesa, un tempo noto come piàssa dë scarpe (la piazza delle scarpe: molte piazze di Alba prendevano il nome gergale dalle merci del mercato settimanale), si nota la Torre medioevale ribassata di Casa De Magistris dal portale settecentesco; belle finestre del Quattrocento anche nella opposta Casa Deca, e tracce meno evidenti si trovano in altri edifici del quartiere come Casa Deabbate–Alliana e Casa Cagnasso.

All’angolo tra Via Calissano e Via Maestra (ufficialmente Via Vittorio Emanuele II, ma nessuno ad Alba la chiama così) ecco la mole importante di Casa Fontana-Do, una delle residenze medioevali più intatte della città, ingentilita da una serie di fregi in cotto a decorare il marcapiano principale, sopra il quale si intuiscono ancora le due grandi finestre oggi tamponate e, soprattutto, il soprastante loggiato quattrocentesco a sesto acuto. La casa aveva anche la sua brava torre, oggi inglobata nel palazzo. Così come ce l’aveva la vicina Casa Stupino, subito svoltato l’angolo in direzione di Piazza Savona (oggi Piazza Ferrero).

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L'Alba delle Frazioni

L'Alba delle Frazioni

Appena fuori dal centro storico, c’è una sorta di Alba sconosciuta ai più, perché appunto fuori dal perimetro squisitamente cittadino. La città non ha storicamente il tessuto astigiano delle ventine, ma ci sono alcuni esempi di pregio da non perdere. 

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Nel tratto di Via Maestra che si raccorda a Piazza del Duomo (e che il Municipio chiude con un bell’effetto scenografico) vanno ricordati invece al civico 6 il medioevale Palazzo Bergui (con piacevoli trompe l’oeil e due grandi finestre quattrocentesche in cotto) e al civico 7 la casa del grande storico dell’arte Roberto Longhi (ricordata anche da una lapide).

Percorrendo lo “struscio” elegante della Via Maestra, accanto a vetrine blasonate di firme e tartufi, sfilano anche alcuni dei palazzi più nobili: quello dei Conti Belli ai civici 16-18, cinquecentesco ma su impianto pre-esistente, con una torre in pietra ribassata e importanti interni a cassettone dipinto. Poi, nello slargo con Via Belli, quello dei Conti di Serralunga, tardo-medioevale ma con un raro esempio di loggiato rinascimentale nella corte, usato come modello per la casa d’Alba nel borgo neo-medioevale di Torino. Proprio su questa piazzetta senza nome (“della Singer” per gli albesi), c’era all’inizio degli anni Quaranta la prima pasticceria dei fratelli Ferrero, sì proprio quelli della Nutella.

Proseguendo, ecco a sinistra il grande Convento della Maddalena con la barocca omonima chiesa. Il convento, fondato nel 1441 dalla Beata Margherita di Savoia ospita oggi le 21 sale del Museo Civico Archeologico e di Scienze Naturali “Federico Eusebio”, con le due raccolte: archeologica (pietre e tombe dell’Alba neolitica come dell’Alba romana) e di scienze naturali (una panoramica su flora e fauna locali). Sempre all’interno del complesso, ci sono poi la biblioteca “Giovanni Ferrero”, la sala convegni “Beppe Fenoglio” e soprattutto, nel vasto cortile, si tiene ogni anno la grande Fiera del Tartufo Bianco d’Alba.

La Chiesa della Maddalena, a pianta centrale ellittica, opera del maestro del barocco piemontese Bernardo Vittone, è quasi un boudoir per nobildonne; imperdibili il quattrocentesco “Cristo” ligneo, il coro del Settecento intarsiato di 48 stalli e l’urna in cui sono state conservate per anni le reliquie della beata (poi traslatate nel Convento delle Domenicane in frazione Madonna di Como). All’esterno invece la facciata mossa dai mattoni alternati e dalle sinuose forme barocche (sullo stile di Palazzo Carignano a Torino) costituisce un unicum piemontese, ancorché (o per fortuna) incompiuta.

Oltre, superata la barocca Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, meritano la liberty Casa Varaldi al civico 32 e il quasi opposto Palazzo Mermet sull’angolo con Via Giacosa, con ancora la sua torre, seppur rimaneggiata. Qui, sul canton do cine (angolo del cinema), la ex libreria Marchisio è stata per tanto tempo un ritrovo intellettuale, e l’attuale attività conserva un apprezzabile soffitto ligneo a cassettoni, mentre nell’adiacente drogheria ritrovano ancora gli afrori e le suggestioni del secolo scorso.

La passeggiata in Via Maestra alterna eleganti vetrine a vere “bomboniere” di inizio Novecento, come le meravigliose pasticcerie d’epoca; all’angolo di Via Mazzini si estende invece il secondo Palazzo Bergui, capolavoro liberty, con l’elaborato bow-window a dominare sulla via.

Via Maestra si conclude con il famoso orologio sotto il quale è consuetudine darsi appuntamento; siamo così arrivati alla Piazza Savona (oggi intitolata a Michele Ferrero), cuore economico di Alba. La piazza è una porta di passaggio tra il centro storico e i quartieri di più recente nascita.

A pochi passi da Piazza Ferrero, merita una deviazione il Tempio di San Paolo, imponente edificio sacro costruito dalla Famiglia Paolina, fondata nel 1914 da Don Giacomo Alberione. Il Tempio fu aperto al culto nel 1928. Di grande pregio il maestoso portale in bronzo, che nel rilievo dei battenti narra episodi tratti dalla vita di San Paolo, realizzato nel 1964.

Ma torniamo in Piazza Ferrero. Proprio qui sono state scattate le celebri immagini del mercato delle uve, con la piazza gremita di carretti e i dehors dei caffè affollati di sòȓa (imbroglioni) pronti a ripulire gli ingenui e gli incoscienti al biliardo, alle carte o alle scommesse.

Il tempio delle scommesse era però lo Sferisterio Mermet, a cui si arriva svoltando a destra sotto i portici (che proseguono per tutta la lunghezza di Via Roma) e imboccando a circa due terzi la piccola Via Toti. Qui si giocava al pallone elastico (oggi pallapugno, in piemontese balon), lo sport principe della gente di Langa. E qui al Mermet, ancor più che all’Umberto (il caffè di Fenoglio), al Calissano («il caffè dei signori») o al Savona (il regno di Giacomo Morra, l’albergo per eccellenza, ma anche ristorante e sala biliardo) si poteva davvero perdere la cascina, tra affari e tȓaverse (scommesse).

Il Mermet, tuttora in uso per i campionati italiani, non è un semplice campo, è un monumento. Terza arena sportiva più antica d’Italia (e tra le prime 10 in Europa) fu fondato nel 1857, a seguito della sospensione del gioco in Piazza del Duomo (dove però ancora si rievoca una partita all’anno durante la Fiera del Tartufo). Qui han giocato i grandi campioni e da qui sono passati infinite generazioni di cronisti sportivi (come Giovanni Arpino) e anonimi langhetti. Via Roma si conclude, infine, nel viale della stazione ferroviaria.

Poco oltre il passaggio a livello sorge quel tempio pagano, adorato dai golosi di tutto il mondo, che è la Fabbrica della Nutella, la Ferrero appunto, un’altra immagine vincente di Alba nel mondo, purtroppo non visitabile... e allora tutti i turisti si fanno le foto davanti ai cancelli. Ma si immergono anche in tanta cultura, grazie alle Mostre di livello organizzate dalla Fondazione Ferrero per arricchire il palinsesto culturale della città. 
Testi di Pietro Giovannini
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