Eredità di un passato medioevale molto frammentato, il Piemonte non ha praticamente mai conosciuto il latifondo. La nobiltà fino a Carlo Alberto e Cavour non si era mai interessata di agricoltura, considerando le proprietà fondiarie come fonte di semplice rendita, alienabili in caso di necessità (cioè spesso) per perseguire invece le prestigiose carriere militari e diplomatiche. Quindi in Piemonte, prima e meglio del resto d’Italia, si è sviluppata una frammentazione della proprietà terriera che per effetto delle leggi napoleoniche (che abolivano il diritto di primogenitura) si è ulteriormente amplificata negli ultimi due secoli.
Inoltre il vignaiolo piemontese produce praticamente sempre e solo da vitigni autoctoni, vinificati in purezza, con metodi di invecchiamento tradizionali (le famosi grandi botti di rovere di Slavonia) ma anche quando sceglie di utilizzare legni francesi (tonneaux e barriques) è sempre il terroir a dare l’impronta, il marchio di fabbrica del “vigneto Piemonte”.
Il risultato di queste condizioni è stato l’esaltazione di un’orgogliosa identità contadina che ha spinto al massimo la competizione tra queste micro-aziende, innalzando alle stelle una qualità che si manifesta fin dai vigneti pettinati come giardini.
Visitare una cantina su queste colline è fare un viaggio nel tempo dove ognuno degli avi ha aggiunto qualcosa, è incontrare innanzitutto una famiglia, venire accolti in casa e diventare parte di una storia. Una storia di fatica e privazioni che dopo tanti secoli di fame e sacrifici finalmente raccolti i meritati frutti.